sabato 15 novembre 2014

Un contributo: Connotare la Sicilia

Un articolo di Aldo Castello che riassume i diversi temi affrontati negli incontri di Lingua, scrittura, cultura a Montevergini e ne lancia uno nuovo: la Sicilia nel mondo globalizzato.


Il maschio siculo (latin lover, dongiovanni, dominatore, possessivo) il conquistatore ossessivo e rozzo, l’ “esuberanza predatoria”. È questa l’immagine simbolo che caratterizza la narrazione di Vitaliano Brancati?

La “sicilitudine” (sinonimo di apatia, fatalismo, disfattismo, disincanto, ma anche orgoglio, passione e ferocia) impietosamente descritta Sciascia, è il vero (o unico) sentiment con cui il mondo guarda e legge il siciliano e la Sicilia?

Quanta retorica, quanti luoghi comuni, quanto folclore hanno contribuito alla costruzione dell’idea di Sicilia e di siciliano all’esterno? Quanta verità c’è in essi? Quanto bene e quanto male hanno fatto gli stereotipi che certa letteratura e certa cinematografia hanno prodotto nella seconda metà del ‘900? Come è vista la Sicilia dall’esterno? Come sono considerati i siciliani? E tali costruzioni sono valide ancora oggi?

Da una lettura parziale ed esterna sembra che Brancati si sia limitato a presentarci un affresco del gallismo siciliano e dell’assillante affermazione dell’esuberanza del maschio siculo. I film (che più dei libri, hanno diffuso il presunto pensiero brancatiano) come Don Giovanni in Sicilia, Il bell’Antonio, Paolo il caldo, hanno contribuito a costruire una specificità della letteratura brancatiana molto probabilmente non veritiera o non completa. Quei film, infatti, (e certo pensiero critico da essi scaturito) si limitano a fornirci una parodia del maschio e una burlesca rappresentazione della società o a descriverci gli aspetti pruriginosi di certe vicende. Mentre ci negano spunti di lettura diversi e forse più interessanti: chi e come sono i personaggi di Brancati? Quali disagi e difficoltà di vivere aveva Giovanni Percolla? È possibile essere accettati nella “diversità” di Antonio Magnano? Quali tormenti interiori assillavano la vita di Paolo Castorini? Aspetti che ci descrivono le difficoltà esistenziali, i tormenti psicologici, i drammi sociali e familiari, la tragicità degli eventi e le scelte tragiche che solo un’attenta e onesta lettura dei testi ci può descrivere, restituendo allo scrittore pachinese la giusta dimensione letteraria.

La “Sicilia come metafora” (di un’idea ricorrente, di un modo di pensare e di essere, di un luogo comune) la “sicilitudine” (come insieme di elementi tipici e caratterizzanti) sono solo fantasiose invenzioni di Leonardo Sciascia (oltre che di Bufalino o Tomasi di Lampedusa)? O sono piuttosto allegorie, semplici sintesi o riduttivi esempi che vanno contestualizzate e destrutturate?
Cosa contraddistingue e rende diverso un siciliano da un piemontese o umbro? Esiste l’identità territoriale o geografica? Sono ancora attuali, oltre che validi, i retaggi culturali e i pregiudizi storici sul siciliano? Se diversità e caratteristiche esistono (o sono esistite), molto probabilmente esse sono riferite più evidentemente alle condizioni economiche (che hanno connotato l’isola sin dalla sua unità al Regno) e meglio definite in precisi momenti storici. La Sicilia degli anni ’20 o piuttosto degli anni ’40 è diversa dalla Sicilia degli anni ’70 nonché di quella del terzo millennio.

Gli elementi caratterizzanti di un’epoca si sono significativamente modificati se non addirittura annullati. La società industrializzata ha sostituito la società agricola. Le autostrade e i trasporti aerei hanno minimizzato gli aspetti insulari e periferici. L’istruzione si è ampiamente diffusa e sviluppata. La società digitalizzata e globale ha contaminato la società e omologato la cultura, le mode, le aspirazioni, persino la lingua (esiste ancora il dialetto?). Un ingegnere insulare è oggi abbastanza simile all’ingegnere ligure come l’informatico siciliano a quello londinese, e poco ormai differenzia la provenienza geografica se non invece quella economica e culturale. Le ragioni storiche, politiche e climatiche che hanno potuto caratterizzare quello che solo fino a pochi decenni fa era ancora un preciso microcosmo e differenziarlo dal resto dell’universo, hanno sempre meno ragione di esistere.

Uno scrittore, un regista, un autore di oggi che volesse descrivere e delineare la sicilitudine e la sicilianità (o cosa ne è rimasto) molto probabilmente si troverebbe a narrarci di caponata, granite di mandorla e cannoli di ricotta. Tutte caratteristiche, queste sì, che ancora connotano la Sicilia e forse mai si disperderanno.

Aldo Castello

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