Un
articolo di Aldo Castello che riassume i diversi temi affrontati
negli incontri di Lingua, scrittura, cultura a Montevergini e
ne lancia uno nuovo: la Sicilia nel mondo globalizzato.
Il
maschio siculo (latin lover, dongiovanni, dominatore, possessivo) il
conquistatore ossessivo e rozzo, l’ “esuberanza
predatoria”.
È questa l’immagine simbolo che caratterizza la narrazione di
Vitaliano Brancati?
La
“sicilitudine” (sinonimo di apatia, fatalismo, disfattismo,
disincanto, ma anche orgoglio, passione e ferocia) impietosamente
descritta Sciascia, è il vero (o unico) sentiment
con cui il mondo guarda e legge il siciliano e la Sicilia?
Quanta
retorica, quanti luoghi comuni, quanto folclore hanno contribuito
alla costruzione dell’idea di Sicilia e di siciliano all’esterno?
Quanta verità c’è in essi? Quanto bene e quanto male hanno fatto
gli stereotipi che certa letteratura e certa cinematografia hanno
prodotto nella seconda metà del ‘900? Come è vista la Sicilia
dall’esterno? Come sono considerati i siciliani? E tali costruzioni
sono valide ancora oggi?
Da
una lettura parziale ed esterna sembra che Brancati si sia limitato a
presentarci un affresco del gallismo siciliano e dell’assillante
affermazione dell’esuberanza del maschio siculo. I film (che più
dei libri, hanno diffuso il presunto pensiero brancatiano) come Don
Giovanni in Sicilia, Il bell’Antonio, Paolo il caldo, hanno
contribuito a costruire una specificità della letteratura
brancatiana molto probabilmente non veritiera o non completa. Quei
film, infatti, (e certo pensiero critico da essi scaturito) si
limitano a fornirci una parodia del maschio e una burlesca
rappresentazione della società o a descriverci gli aspetti
pruriginosi di certe vicende. Mentre ci negano spunti di lettura
diversi e forse più interessanti: chi e come sono i personaggi di
Brancati? Quali disagi e difficoltà di vivere aveva Giovanni
Percolla? È possibile essere accettati nella “diversità” di
Antonio Magnano? Quali tormenti interiori assillavano la vita di
Paolo Castorini? Aspetti che ci descrivono le difficoltà
esistenziali, i tormenti psicologici, i drammi sociali e familiari,
la tragicità degli eventi e le scelte tragiche che solo un’attenta
e onesta lettura dei testi ci può descrivere, restituendo allo
scrittore pachinese la giusta dimensione letteraria.
La
“Sicilia come metafora” (di un’idea ricorrente, di un modo di
pensare e di essere, di un luogo comune) la “sicilitudine” (come
insieme di elementi tipici e caratterizzanti) sono solo fantasiose
invenzioni di Leonardo Sciascia (oltre che di Bufalino o Tomasi di
Lampedusa)? O sono piuttosto allegorie, semplici sintesi o riduttivi
esempi che vanno contestualizzate e destrutturate?
Cosa
contraddistingue e rende diverso un siciliano da un piemontese o
umbro? Esiste l’identità territoriale o geografica? Sono ancora
attuali, oltre che validi, i retaggi culturali e i pregiudizi storici
sul siciliano? Se diversità e caratteristiche esistono (o sono
esistite), molto probabilmente esse sono riferite più evidentemente
alle condizioni economiche (che hanno connotato l’isola sin dalla
sua unità al Regno) e meglio definite in precisi momenti storici. La
Sicilia degli anni ’20 o piuttosto degli anni ’40 è diversa
dalla Sicilia degli anni ’70 nonché di quella del terzo millennio.
Gli
elementi caratterizzanti di un’epoca si sono significativamente
modificati se non addirittura annullati. La società industrializzata
ha sostituito la società agricola. Le autostrade e i trasporti aerei
hanno minimizzato gli aspetti insulari e periferici. L’istruzione
si è ampiamente diffusa e sviluppata. La società digitalizzata e
globale ha contaminato la società e omologato la cultura, le mode,
le aspirazioni, persino la lingua (esiste ancora il dialetto?). Un
ingegnere insulare è oggi abbastanza simile all’ingegnere ligure
come l’informatico siciliano a quello londinese, e poco ormai
differenzia la provenienza geografica se non invece quella economica
e culturale. Le ragioni storiche, politiche e climatiche che hanno
potuto caratterizzare quello che solo fino a pochi decenni fa era
ancora un preciso microcosmo e differenziarlo dal resto
dell’universo, hanno sempre meno ragione di esistere.
Uno
scrittore, un regista, un autore di oggi che volesse descrivere e
delineare la sicilitudine e la sicilianità (o cosa ne è rimasto)
molto probabilmente si troverebbe a narrarci di caponata, granite di
mandorla e cannoli di ricotta. Tutte caratteristiche, queste sì, che
ancora connotano la Sicilia e forse mai si disperderanno.
Aldo
Castello
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