mercoledì 14 gennaio 2015

Progetto Ortigia - 4.

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In Ortigia inseguiamo il silenzio.

Incontriamo il mercatino in Piazza Pancali, davanti al tempio di Apollo. Una rovina, intendiamoci, resti dell'antica colonia greca. La borragine in mazzi poggia sul banco, le foglie esterne sono rovinate, avvolgono quelle tenere, appena germogliate al centro della piantina. Galanti finocchi, un cavolo antico siciliano e broccoletti di diverse sfumature di verde, sono le verdure d'inverno.

Passiamo dal baretto in via dei Mergulensi, davanti ad un palazzo anni Venti. Dicono che Elio Vittorini abbia frequentato la scuola qui. "Come l'avrebbe descritto oggi?" mi chiedo. Il caffè d'orzo è ottimo e il bancone sa d'artigiano d'altri tempi.

Vorrei prenderti per mano, perché qui inizia l'avventura.

Il silenzio dura millenni in Ortigia, e continua, pur avendo conosciuto la lingua dei sicani, degli antichi greci, degli antichi romani, degli ebrei e degli arabi - anche loro antichi, immagino.

Tante parole e significati, e tanti scambi di sguardo - che hanno il loro suono, pur inudibile, fra queste vie e stratificazioni.

In piazza Duomo la domenica mattina mille passi parlano con il loro tip tap sulle pietre del pavimento. Invece, dalla terrazza della Fonte Aretusa, la pista di pattinaggio perde preziosa acqua che scivola via sciolta.

Continuiamo per arrivare alla nostra meta, perché la domenica non può finire così.

Troviamo Castello Maniace aperto, gratuito, basta una firma, che lasciamo. Entriamo e andiamo lungo la passerella che costeggia il muro fino alla punta. Le curve, le geometrie, le aperture inaspettate sul blu, le mattonelle e le pietre di terra calda. Saliamo su uno scalino, afferriamo con le dite le fossette nella pietra e ci alziamo più in alto del muretto. Oltre l'orizzonte, alla fine del tappeto di mare e all'inizio del cielo, ecco che lo percepiamo: il silenzio.

Silvana Tuccio

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