In Ortigia inseguiamo il silenzio.
Incontriamo
il mercatino in Piazza Pancali, davanti al tempio di Apollo. Una
rovina, intendiamoci, resti dell'antica colonia greca. La borragine
in mazzi poggia sul banco, le foglie esterne sono rovinate, avvolgono
quelle tenere, appena germogliate al centro della piantina. Galanti
finocchi, un cavolo antico siciliano e broccoletti di diverse
sfumature di verde, sono le verdure d'inverno.
Passiamo
dal baretto in via dei Mergulensi, davanti ad un palazzo anni Venti.
Dicono che Elio Vittorini abbia frequentato la scuola qui. "Come
l'avrebbe descritto oggi?" mi chiedo. Il caffè d'orzo è ottimo e
il bancone sa d'artigiano d'altri tempi.
Vorrei
prenderti per mano, perché qui inizia l'avventura.
Il
silenzio dura millenni in Ortigia, e continua, pur avendo conosciuto
la lingua dei sicani, degli antichi greci, degli antichi romani,
degli ebrei e degli arabi - anche loro antichi, immagino.
Tante
parole e significati, e tanti scambi di sguardo - che hanno il loro
suono, pur inudibile, fra queste vie e stratificazioni.
In
piazza Duomo la domenica mattina mille passi parlano con il loro tip
tap sulle pietre del pavimento. Invece, dalla terrazza della Fonte
Aretusa, la pista di pattinaggio perde preziosa acqua che scivola via
sciolta.
Continuiamo
per arrivare alla nostra meta, perché la domenica non può finire
così.
Troviamo
Castello Maniace aperto, gratuito, basta una firma, che lasciamo.
Entriamo e andiamo lungo la passerella che costeggia il muro fino
alla punta. Le curve, le geometrie, le aperture inaspettate sul blu,
le mattonelle e le pietre di terra calda. Saliamo su uno scalino,
afferriamo con le dite le fossette nella pietra e ci
alziamo più in alto del muretto. Oltre l'orizzonte, alla fine del
tappeto di mare e all'inizio del cielo, ecco che lo percepiamo: il
silenzio.
Silvana
Tuccio
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