lunedì 28 aprile 2014

Una mostra di arte contemporanea: la recensione (4-8-2012)

Sicilia Contemporanea

La recensione giornalistica è una forma di scrittura professionale molto diffusa.
Eccone una, a mo' di presentazione.
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A Palazzo Ducale di Genova fino al 26 agosto 2012
Yves Klein fra l'illusione e la quotidianità


   Salto nel vuoto (1960)

Molta parte dell’avanguardia artistica di secondo Novecento è stata animata da una curiosità intellettuale e da una lucidità creativa che l’hanno portata a confrontarsi con il rigore formale e con alcune idee radicali tratte dalle culture dell’Estremo oriente: basti pensare al silenzio di derivazione zen in un musicista come John Cage, o alla casualità, in un coreografo come Merce Cunningham. La mostra a Palazzo Ducale di Genova entra nel lavoro di Yves Klein proprio attraverso una simile “disciplina”. Il giovane Klein divenne maestro di Judo a Tokyo e pubblicò nel 1954 I fondamenti del Judo, che fu allora il primo manuale europeo sullo studio dei Kata.

     Yves Klein maestro di judo.

Ecco da dove nasce quella che per Yves Klein è l’idea centrale: lo spazio vuoto in cui la realtà manifesta tutti i suoi eventi. I monocromi di luminoso blu oltremare (il colore da lui brevettato col nome di IKB-International Klein Blue) sono “lo spazio stesso” reso come puro colore. La straordinaria e famosa fotografia del “pittore dello spazio che si getta nel vuoto” è davvero il compendio del fare arte di Klein e, notano i curatori della mostra Bruno Corà e Sergio Maifredi, è sintesi dei suoi anni di esercizio in kimono e del suo teatro della crudeltà. Come colse puntualmente Pierre Restany, l’impronta della modella sulla tela bianca è “l’impronta del judoka che cade sul tatami”. Lo stesso Klein, negli scritti e documenti presentati in mostra, si spiega con chiarezza. “Quello che mi interessa nel Judo, quello che mi appassiona, è il Movimento, il fine del Movimento che è sempre astratto e puramente spirituale”.
Come si vede, il Judo è davvero una via d’accesso al pensiero e al mondo di Klein, che sono intrinsecamente costituiti come azione teatrale. L’altra via di accesso è la lettura dei suoi scritti teorici nel volume Verso l’immateriale dell’arte (O barra O Edizioni, Milano 2009) oppure portandosi a casa un oggetto della mostra, manifesto teorico e opera immateriale, cioè la riproduzione distribuita in mostra di Dimanche, il giornale di un solo giorno che Klein concepì e scrisse in occasione del Festival delle Arti d’Avanguardia, il 27 novembre 1960, e che contiene il suo pensiero teatrale e al tempo stesso diviene azione teatrale, “teatro del vuoto”. L’intera Parigi, con tutti i suoi abitanti consapevoli o inconsapevoli – “ma anche la campagna, il deserto, la montagna, il cielo stesso, e lo stesso universo, perché no?” – dalle 0 alle 24 di quel giorno, sarebbero stati “una forma ultima di teatro collettivo: Una domenica per tutti. […] Un giorno glorioso di realismo e verità”.
Capiamo meglio il senso di operazioni che gli anni ’60 hanno lasciato in eredità alla memoria collettiva più come curioso avanguardismo che non come rigorosa messa a punto delle nostre coordinate culturali: sulle pareti della sala dedicata alle Antropometrie e ai fire paintings sono proiettate le immagini della performance durante la quale le modelle imbrattate di colore blu, sotto l’attenta regia di Yves e al suono della sua Sinfonia Monotòna, lasciano le tracce dei loro corpi sulla tela bianca oppure, usando un colore “simpatico”, su di un supporto dove successivamente Yves rivela con un lanciafiamme i calchi dei corpi umani, come quelli stampati sul muro dall’esplosione atomica.
Quello che interessa Klein è il segno/concetto del movimento del corpo. Si tratta di corpi vivi, il corpo dell’artista, gran cerimoniere, e quello della modella: “Vieni nel vuoto con me”, scrive Yves in una delle sue dichiarazioni di poetica. E precisa: “Il modello nudo porta sensualità nell’atmosfera. Attenzione! Non sessualità! Il modello crea nell’atelier il clima sensuale che permette di stabilizzare la materia pittorica”. Esistono quindi per lui lo spazio immateriale e il corpo, che devono stabilizzarsi, farsi segno, impregnandosi di sensibilità pittorica.
Nelle sale della mostra dedicate all’Immateriale, sono illustrati lo slancio visionario e la misura di una forma o di un procedimento, che fa di Klein l’iniziatore del concettuale. Egli mise in vendita, attraverso una procedura nello stesso tempo burocratica ed eversiva, opere immateriali o biglietti per spettacoli teatrali in-visibili: l’acquirente (Dino Buzzati e Lucio Fontana furono fra coloro che vollero partecipare al rituale) versava il prezzo dell’opera in oro, ricevendone regolare ricevuta e diventando legittimo proprietario di uno spazio o di un evento immateriali; e il valore dell’oro veniva dissolto gettandolo nella Senna.
La mostra fa anche conoscere alcuni momenti della vita privata di Klein, che si inseriscono perfettamente nel suo lavoro artistico e, se cene fosse bisogno, avvertono che la sua spavalda sperimentazione era sostanziata da un vissuto che chiede solo ascolto e rispetto. A partire dalle opere dei genitori Marie Raymond e Fred Klein, pittori entrambi, fino all’unione con l’artista e compagna Rotraut, e fino alla privata devozione per una santa aerea e fluttuante nel vuoto, Rita da Cascia. Il suo gusto per il cerimoniale si fa esplicito e preponderante nel video della cerimonia delle sue nozze con Rotraut, realtà esaltata e celebrata dalla messinscena, con il corteggio dei Cavalieri di Malta, i mantelli, gli stendardi, gli squilli di tromba e i fasci di luce che tagliano la navata della chiesa a indicare il percorso degli sposi.
Forse la sua ricerca si fece qui più inquieta, pressante, divenne un impellente bisogno di sublime, di trascendente, e sfociò nella devozione privata, con lo straordinario ex voto, una scatolina di plexiglass a tre scomparti con pigmenti rosso blu e oro (forse parte dell’oro che aveva acquistato le opere immateriali), ritrovato a Cascia nel santuario di santa Rita.
Ma dalle informazioni della mostra emerge un altro episodio, minore ma significativo – e questa volta decisamente infausto e persino imbarazzante. Nel 1961 Klein incappò in una produzione cinematografica italiana, ideata dal giornalista e documentarista Gualtiero Jacopetti. Il giornalista riuscì a conquistarsi la fiducia dell’artista e filmò la performance di una Antropometria. Quando Klein assistette alla prima del film Mondo cane al Festival di Cannes del 1962 si trovò di fronte ad un gretto travisamento del suo lavoro, presentato come una frivola bizzarria. Il delicato e personalissimo percorso artistico-filosofico di Klein incappò in un’operazione di tipo ironico-reazionario di italica fattura, volta a leggere la contemporaneità come un ammasso di eccentricità ora risibili ora deprecabili (un film che aprì la strada ad un filone anche più deteriore che ebbe un certo seguito di pubblico negli anni ’60 e ‘70, i Mondo Movies o documentari shock). Fatto sta che, all’uscita della proiezione, Klein ebbe un primo attacco cardiaco e poche settimane dopo, il 6 giugno 1962, morì a soli 34 anni. Per questo la bella mostra genovese, oltre a offrire materiali e argomenti per una nuova riflessione sull’avanguardia che è diventata storia, a cinquant’anni dalla morte di Yves Klein è anche una tardiva riparazione.

(Lorenzo Perrona, "Corriere del Ticino", 4-8-2012)

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